Riforma Inpgi – Qualche informazione in più

30/07/2015

La Riforma dell’Inpgi è ormai una realtà ed è necessario dare qualche chiarimento in più agli iscritti.
Marina Macelloni, componente del CdA di Inpgi ha inviato questa nota:

Le riforme delle pensioni sono brutte e cattive per definizione. E anche questa lo è, avrà conseguenze significative per tutti noi. Nello stesso tempo penso che con la riforma varata lo scorso 27 luglio dal cda del l’inpgi abbiamo fatto un passo avanti importante per la messa in sicurezza dei conti dell’ente nel medio lungo periodo.
Sulle ragioni che hanno reso necessaria la riforma è stato detto molto, ma vale la pena di ricordare che la ragione principale è stata l’eccezionale perdita di posti di lavoro che abbiamo subito: 3mila posti di lavoro persi in 5 anni, un crollo del 20 per cento della popolazione attiva, sei volte più ampio di quello registrato nel paese.
Questo ha comportato minori contributi versati, aumento dei trattamenti pensionistici, forte aumento degli ammortizzatori sociali passati dai 10,7 milioni del 2009 ai 36,2 milioni del 2014.
Abbiamo quindi deciso di intervenire rapidamente per evitare che l’intervento ci fosse richiesto e dettato dai ministeri vigilanti.
Nelle discussioni che hanno preceduto per circa un anno il varo della riforma abbiamo sempre cercato di tenere fermi i criteri di fondo che hanno ispirato il nostro lavoro e sui quali siamo sempre stati tutti d’accordo.
Abbiamo cercato di costruire un pacchetto di misure che per prima cosa fosse efficace: dobbiamo rispettate i criteri di legge (5 annualità di pensioni) e evitare l’azzeramento della patrimonio che porterebbe al l’immediata nomina da parte dei ministeri di un commissario.
Allo stesso tempo la riforma deve essere credibile di fronte ai ministeri che la devono approvare: non si deve discostare in maniera eccessiva dalle regole generali.
Per raggiungere questi obiettivi abbiamo cercato di spalmare il più possibile su tutti i sacrifici: più il ventaglio di misure è ampio più il peso risulta sostenibile.
Siamo quindi intervenuti su tutte le voci in entrata e in uscita che compongono il bilancio dell’istituto cercando di mantenere il massimo di protezioni possibili per i più deboli.
Infine abbiamo comunque voluto mantenere ai trattamenti INPGI un vantaggio rispetto a quelli del l’inps perché crediamo che anche da questo passi l’autonomia della nostra professione.
Gli interventi principali riguardano l’aumento delle aliquote contributive a carico degli editori e dei giornalisti che a questo punto sono allineate a quelle del sistema generale.
Per quanto riguarda le prestazioni gli interventi principali riguardano l’età per maturare la pensione di vecchiaia che passa a 66 anni con una progressione più lenta per le donne che avevano già subito l’innalzamento dell’età pochi anni fa e la modifica della pensione di anzianità: dal primo gennaio prossimo occorreranno 62 anni e 36 anni di contributi ma resterà in vigore la possibilità di andare in pensione prima con abbattimenti e fino al 2021 si potrà andare a qualsiasi età con 40 anni di contributi.
Restano in vigore le vecchie regole per tutti i giornalisti disoccupati o che abbiamo raggiunto accordi individuali e collettivi nell’ambito di stati di crisi e ristrutturazioni aziendali per 24 mesi dall’entrata in vigore della riforma. Siamo riusciti anche a mantenere la possibilità per le donne disoccupate di accedere alla pensione di vecchiaia con 60 anni.
Infine si riducono le aliquote di rendimento che servono per calcolare l’importo della pensione: si passa dal 2,66 al 2,30: è un taglio pesante che impatterà soprattutto sulle pensioni dei più giovani ma che consente comunque di mantenere un vantaggio rispetto al l’inps di circa il 28 per cento.
Un altro intervento importante riguarda la disoccupazione che abbiamo voluto mantenere a 24 mesi (molto più del sistema generale) ma con assegno che si riduce progressivamente a partire dal settimo mese.
Infine il contributo di solidarietà su cui si è fatta molta polemica: proprio per tenere fermo il criterio dell’equità abbiamo deciso che anche i pensionati do essere contribuire al tentativo di riportare i conti in equilibrio.
Il contributo è temporaneo, cinque anni, e progressivo a seconda delle fasce di reddito.
Ora viene la parte più difficile, l’approvazione da parte dei ministeri che non è affatto scontata. Poi toccherà alle parti sociali che dovranno fare la loro parte cercando strumenti e soluzioni per fare crescere i posti di lavoro.
Senza lavoro non ci può essere previdenza.

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